Commento al Vangelo di Domenica 26 Febbraio 2023
Notizia pubblicata il 22/02/2023

Oggi iniziamo il periodo quaresimale, questi 40 giorni ci rimandano al cammino del popolo nel deserto in attesa di raggiungere la terra promessa, ci rimandano ai 40 giorni di cammino di Mosè per salire al Monte di Dio, e ai 40 giorni di Gesù nel deserto prima di iniziare il suo cammino verso Gerusalemme
Le immagini consuete sono quelle del deserto non come un luogo solitario e desolato, piuttosto come un tempo e uno spazio di incontro con Dio e con i fratelli.
Potremmo paragonare il tempo quaresimale al tempo del fidanzamento (anche in questo ci vengono incontro le parole del profeta Osea: “… la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore”. Di deserto ci parlano anche tanti testimoni del nostro tempo: Charles De Foucault, Madeleine Delbrêl, che aveva fatto della città il suo monastero, il suo luogo di incontro con Dio e con i fratelli.
Il Papa nel suo messaggio per la quaresima spinge su due aspetti che ci consegna: il cammino “per superare le nostre mancanze di fede e le resistenze a seguire Gesù sul cammino della croce” e ci dice che questo cammino lo si fa insieme. Commentando il racconto della salita sul Monte Tabor (che si legge la seconda domenica di quaresima), il Papa scrive: “Nel ritiro sul monte Tabor, Gesù porta con sé tre discepoli, scelti per essere testimoni di un avvenimento unico. Vuole che quella esperienza di grazia non sia solitaria, ma condivisa, come lo è, del resto, tutta la nostra vita di fede. Gesù lo si segue insieme”.
Quindi il tempo e lo spazio della quaresima sono di grazia: perché Dio ci viene a cercare e non cerca solo noi, ma tutti i figli del Padre. Gesù buon Pastore è andato incontro alla Passione perché di lì passava la strada per incontrare i fratelli, perché lì dove un uomo o una donna vivessero un tempo o uno spazio di smarrimento o di desolazione, di sofferenza o di dolore, come anche di gioia e di speranza lui voleva essere con noi.
La liturgia di oggi invita tutti: “..chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini, i lattanti… lo sposo e la sposa escano dal loro talamo, come i sacerdoti tra il vestibolo e l’altare piangano…” (Gl 2, 12-18). Siamo invitati a considerare il nostro peccato come ciò che ci ferisce e ci tiene lontani da quello che siamo o potremmo essere: lo sposo dalla sposa, come i sacerdoti dal popolo e viceversa. La liturgia ci invita a constatare questa realtà di peccato della nostra vita e come questa possa essere cambiata, guarita, salvata dal dono di Gesù: “Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!” ci dice la seconda lettura (2Cor 5, 20-6,2).
C’è una resistenza dice il papa in noi, che è una resistenza a seguire il Signore: lo abbiamo visto anche nei discepoli, non ci deve stupire; piuttosto possiamo pregare gli uni per gli altri, possiamo aiutarci gli uni con gli altri. Ma a volte anche questo ci fa paura o forse ci mette in imbarazzo: aprire il cuore, condividere le nostre fragilità o i nostri limiti chiede in chi ci guarda un occhio benevolo, magari perché anche quella persona, quel fratello è come noi: ferito, limitato, offeso da una certa durezza del cuore che non riusciamo a scalfire, ad incrinare.
In questa ottica diventano per noi un dono i sofferenti sorridenti (anche se non sempre) cioè quelle persone nella comunità che per un handicap, o una patologia o per un qualche motivo sono segnati nella loro vita, nella loro autonomia, nella loro libertà, almeno apparentemente. Questi insieme a chi, padre o madre, sposo o sposa, vivono la dedizione della vita per aiutare, accompagnare, facendo lo slalom tra lavoro fuori di casa e lavoro in casa in giornate che si susseguono iniziate troppo presto e finite sempre troppo tardi con il sorriso sulle labbra, ci salvano!
Gesù non si scandalizza della nostra fatica a seguirlo, a lasciare tutto… non ci chiede di fare qualcosa di straordinario, ma di ordinario, di aprigli il cuore. Possiamo incontrare Gesù nelle nostre case, nel nostro lavoro, nella quotidianità. La fede è questo cammino ordinario condiviso giorno dopo giorno, come dice il Papa: “Gesù lo si segue insieme!”.
Allora alcuni spunti concreti possono essere:
Un tempo reale e uno spazio reale di preghiera. Provare nella nostra vita a tenerci il tempo della preghiera, la preghiera che scende nel profondo, la preghiera che talvolta è fatica, sforzarci di mettere e rimettere la vita davanti a Dio, lo abbiamo pregato nel salmo e la chiesa lo prega tutti i giorni: “Signore apri le mie labbra”. È bellissimo che i genitori preghino con i figli e questo è importante perché potrebbero arrivare momenti in cui i figli non vogliono più pregare con noi e allora pregheremo per loro e faremo nostra la loro preghiera, come possiamo fare nostra la preghiera di tanti figli di Dio che non pregano più, che non ci riescono più.
L’elemosina è prima di tutto un atto di giustizia, a ciascuno il suo, questo è il fondamento: che cosa “devo” a mio marito, a mia moglie, ai miei figli, cosa offro? Anzitutto un tempo e uno spazio di incontro, di apertura di cuore, perché non si scivoli e da intimi si diventi estranei. Il peccato ci estranea, ci allontana; l’amore, la generosità ci avvicinano: fare qualcosa di bello per l’altro e farlo sempre tutti i giorni, e condividerlo (non secondo lo stile social) ma dicendo timidamente, quasi in punta di piedi “Questo è per te!”. Poi certo si può vivere anche una generosità verso le necessità di altri nostri fratelli anche se non vivono sotto il nostro tetto; dovremo rifletterci anche come comunità, chiederci cosa il Signore vuole da noi.
Digiuno. Di per sé il digiuno non serve, il digiuno fine a sé stesso serve a poco (forse a calare qualche grammo) ma secondo la scrittura il digiuno è riempire quel tempo e quello spazio dedicato a saziarmi con altro, nutrirmi di altro. Per qualcuno può essere la preghiera (non di solo pane vive l’uomo dice Gesù al demonio), può essere rinunciare ad un ora di straordinario per la mia famiglia, o ad una certa distanza per essere più avvicinabile, raggiungibile, togliere quel confine tra me e gli altri che mi permetta di giustificarmi: come quel dottore della legge che chiedeva a Gesù chi fosse il suo prossimo per giustificarsi e trovare un motivo per segnare un confine per non farsi prossimo…
Per vivere questo abbiamo bisogno di Gesù, di trovarlo insieme, di cercarlo insieme, e allora sarebbe bello in questa quaresima vederci di piùalla messa della sera, giovani, sposi, ragazzi. Vivere con più frequenza il sacramento della riconciliazione, aiutarci a viverlo, amici che vanno a confessarsi insieme, sposi che vanno a confessarsi insieme (il mercoledì o il sabato, ma quando volete, basta concordare un orario).
Dedicare una sera alla settimana alla famiglia, fermarsi una sera per parlare, per pregare, per divertirsi, per prendersi cura. Per i giovani dedicarsi il giovedì: è la nostra sera, lo spazio per noi per stare insieme per diventare amici in Cristo. Uno spazio in cui invitare, in cui ciascuno possa sentirsi a casa.
Un’ultima indicazione che mi sento di suggerire è quella di vivere con il sorriso, che possiamo essere riconoscibili come cristiani in questi 40 giorni dal sorriso (la scrittura dice di profumarci il capo, ma oramai questo è di tutti – o quasi); “La mia bocca proclami la tua lode” dice sempre il salmo che abbiamo pregato.
E il Padre tuo che vede nel segreto ti ricompenserà!
don Giuseppe